Ho pensato molto a quest’articolo nel corso delle ultime settimane; non sapevo bene come scriverlo, ma alla fine ho deciso che le mani alla tastiera decidessero per me. Non sarà molto “psicologico” e non dispenserà grandi consigli, ma spero che possa essere condiviso da chiunque legga le prossime righe e che possa far nascere una piccola luce in coloro che hanno perso una persona cara.
La scorsa primavera ho subito un grave lutto familiare. Lo stesso giorno mi sono imbattuta in una bellissima coniglietta abbandonata nel negozio di animali sotto casa. Sarebbe un perfetto finale da film se vi dicessi che me la sono portata a casa subito, ma mio marito non era molto d’accordo in prima battuta? Dopo qualche giorno però, comprese anche lui che il dolore era tanto e mi propose di adottarne uno presso un’associazione Onlus per alleviare un poco la sofferenza (nel frattempo la piccola aveva trovato una sistemazione).
E così, nell’arco di due settimane, mi ritrovai un dolce coniglietto in giro per casa e perennemente collegata ad internet per racimolare quante più informazioni possibili sul peloso; in fin dei conti, non ne sapevo un accidenti di conigli!
In Italia non siamo ancora in moltissimi ad avere un coniglio in casa; chi ne ha avuto uno mi ha detto che non è molto diverso dall’avere un gatto: non ti ascolta, si fida poco e, soprattutto, non serve a nulla sgridarlo, pena ricordini in giro per casa meno che nel luogo adepto a tale funzione.
Ho però imparato due cose fondamentali nel corso di questi ultimi mesi:
1) impieghi del tempo a ottenere la sua fiducia, che comunque non è mai incondizionata. Quando te la concede sai che è meritata, per cui ci vuole tanta pazienza;
2) molto più importante, mi ha liberato dalla rabbia. Mi spiego: rientrare in casa, la sera, dopo una lunga giornata di lavoro e ritrovarsi cacchette in giro o rosicchiamenti vari non è proprio il massimo della vita, siamo onesti e in quanto tendente a una certa dose di controllo, non è stato affatto facile per me accettare che potesse combinare dei piccoli disastri in giro per casa. Il fatto però di essere esonerata dal dovermi arrabbiare per sgridarlo (servirebbe solo a dar vita a dispetti fastidiosi) mi ha procurato un profondo e inaspettato senso di libertà.
Osservare questo stato d’animo nel corso delle settimane e dei mesi mi ha fatto molto riflettere: se con il mio coniglio mi sento giustificata a non dovermi/potermi arrabbiare per evitare spiacevoli dispetti, cosa mi vieta dal riproporre questa modalità anche con le persone che mi circondano? Certo, i rapporti umani sono molto più complessi è ovvio e provare e scaricare della sana rabbia è più che normale (diffidate di chi vi dice il contrario!); ma pensiamo a quanto potremmo essere più liberi se riuscissimo ad accogliere di più ciò che è passato o ciò che comunque non è sotto il nostro controllo, senza la necessità di dover “attaccare”? Pensate a quanto tempo e a quante energie perdiamo e a quante possibilità ci neghiamo. Ad esempio, se al mio rientro dovessi arrabbiarmi per qualche marachella, non solo dovrei aspettarmi qualche sua ingegnosa contro-mossa, ma mi perderei anche un intimo momento con lui, accarezzandolo e ricevendo il suo ringraziamento (la famosa “macina” per gli intenditori).
Rimanere dunque nel qui e ora, piuttosto che nel l’ e allora, mi permette di ricevere dalla mia bestiolina il suo affetto tanto dovrei pulire comunque! Potremmo chiamarla una pratica di mindfulness (di cui accenno anche nell’articolo: “Rabbia, tu colpevole!“) che, caso vuole, è anche la ratio con la quale in psicoterapia si affronta un lutto: ciò che è passato è passato; ciò che puoi fare ora è accogliere la nuova situazione e provare a capire cosa puoi fare per migliorarla, in maniera sana e costruttiva.
Il lutto è un evento naturale e imprescindibile dell’esperienza umana e della sua esistenza in quanto essere mortali, motivo per il quale siamo biologicamente ed evolutivamente programmati per superarlo. A volte però, la violenza e/o la sua inaspettata comparsa ci rendono difficile elaborarlo e fa crescere in noi tanta rabbia (verso noi stessi o verso il defunto).
Come un’automobile è costruita per essere avviata, può certo succedere che il motore si inceppi… a volte basta solo una spinta, a volte invece bisogna portarla dal meccanico. Il punto è che una soluzione è sempre disponibile, malgrado il dolore offuschi la mente. E’ attraverso il dolore e grazie ad esso, che possiamo scegliere di affrontare la nuova condizione e tendere alla costante ricerca della versione migliore di noi stessi.