Sempre più di frequente, nella mia pratica clinica, mi imbatto in due tipologie di persone: c’è chi non vuole assolutamente prendere psicofarmaci, nonostante da essi potrebbe trarne grande giovamento. La paura dello stigma sociale è un grosso deterrente, così come l’onestà nei confronti di se stessi nell’ammettere di stare male al punto da dover prendere una pillola o delle gocce.
Dal versante opposto, c’è chi invece assume farmaci come fossero caramelle (anche quando se ne potrebbe fare a meno), molto spesso prescritte da medici di base poco lungimiranti. In questo caso si parla per lo più di antidepressivi e ansiolitici; soprattutto l’abuso di questi ultimi è rischioso, perché nel lungo periodo possono creare dipendenza.
Nel tentativo dunque di cercare un compromesso tra questi due estremi, ma anche per offrire un aiuto in più a chi sta nel mezzo, ho scoperto che la floriterapia poteva venirmi in soccorso.
Sia chiaro: in determinate circostanze lo psicofarmaco è necessario e insostituibile, se non addirittura salvifico! Non di rado mi è capitato di dover chiudere una psicoterapia perché la persona si opponeva a una visita psichiatrica, nel caso in cui i colloqui e l’osservazione mi suggerivano la necessità di tale prescrizione. Mi piace essere efficace nel mio lavoro; se ci sono degli ostacoli a questo scopo, non è mio interesse sottrarre tempo e denaro alle persone.