Negli ultimi anni abbiamo assistito al proliferare dei casi di omicidio seriale, soprattutto in alcune zone del mondo come i Paesi dell’ex blocco sovietico, il Sudafrica e l’Australia. Ma siamo sicuri che quest’aumento esponenziale sia dovuto a un reale aumento di omicidi seriali e non invece al semplice fatto che è migliorata la capacità di riconoscerli?
Il numero di omicidi commessi ha registrato una flessione in tutto il mondo, ma parallelamente sembrano anche aumentare i delitti in cui tra assassino e vittima non vi è alcuna precedente conoscenza: in questi casi è indispensabile che la tecnologia e la psicologia criminale si affianchino all’investigatore, dato che l’assassinio seriale continua a rappresentare la massima sfida per il criminologo e per le forze dell’ordine.
All’interno della branca della psicologia criminale, si sviluppa quell’attività chiamata criminal profiling, per cui si elabora un profilo psicologico e comportamentale di un criminale ancora sconosciuto, partendo dai più piccoli dettagli della scena del crimine, da ogni notizia disponibile sulla vittima e da qualunque altra informazione.
Il “profiling” poggia sulla constatazione che il comportamento riflette la personalità di un individuo e da questa presa di posizione ne deriva che le azioni di un criminale, durante l’esecuzione di un reato, rispecchiano le sue caratteristiche individuali. L’obiettivo principale è fornire agli investigatori delle informazioni che possano essere utili all’identificazione e alla cattura di un criminale; il profiling si propone quindi di ridurre gradualmente il cerchio dei sospettati a pochi individui, contraddistinti da particolari caratteristiche e comportamenti.
Quelle che seguono, sono le domande base che ogni profiler si deve sempre porre prima di qualunque supposizione:
Secondo una definizione generale, il “profilo psicologico” può essere considerato l’analisi delle principali caratteristiche comportamentali e di personalità di un individuo, ottenibili dall’analisi dei crimini che il soggetto stesso ha commesso. Non ci si limita ad ipotizzare i tratti della personalità quindi, ma il profilo deve includere anche informazioni socio-demografiche come età, sesso, razza, occupazione, istruzione ed altre caratteristiche simili.
La costruzione di un profilo si basa sulla premessa fondamentale che una corretta interpretazione della scena del crimine può indicare il tipo di personalità del soggetto che ha commesso il delitto. La tecnica del profilo si attua comparando casi simili e utilizzando metodologie statistiche di analisi che hanno come risultato il raggiungimento di un giudizio, probabilmente sotto la forma “se-allora”. Di seguito, i presupposti fondamentali del criminal profiling:
La costruzione del profilo psicologico è di natura intrinsecamente probabilistica e non identifica il criminale con una certezza assoluta, ma individua quelle che potrebbero essere le sue caratteristiche di personalità. In letteratura sono riconosciuti due approcci fondamentali allo studio del profilo criminale: il modello dell’FBI, di cui John Douglas è tra i maggiori esponenti e il modello inglese, sviluppato dal dipartimento di psicologia investigativa dell’Università di Liverpool.
Il primo nasce alla fine degli anni ’70 presso la Behavioral Science Unit dell’FBI di Quantico, in Virginia e il lavoro di questa sezione porta alla classificazione degli autori di omicidio (organizzato/disorganizzato) e allo sviluppo del Violent Criminal Apprehension Porgram (VICAP), che nasce come strumento per l’attività del collegamento dei delitti e si distingue in quattro fasi: la prima comporta la raccolta di ogni genere di prova materiale derivante da un’accurata analisi della scena del crimine (informazioni medico-legali risultati dall’autopsia, relative alla vittima e informazioni della Polizia circa le caratteristiche sociali e criminologiche della zona); nella seconda fase si classifica il materiale raccolto nella fase precedente, ovvero si ricercano il movente, i fattori di rischio di vittimizzazione, l’escalation e il luogo dell’aggressione, per valutare il grado di mobilità criminale; nella terza fase si valuta il crimine nella sua globalità, utilizzando il Crime Classification Manual per classificare il delitto, eventuali procedure di staging (alterazione della scena del crimine per dissimulare il movente), la dinamica del delitto e il movente; infine, nell’ultima fase si stende il profilo, all’interno del quale vengono elencate le caratteristiche comportamentali, socio-demografiche, lo stile di vita e il tipo di occupazione del sospetto.
Il “modello di Liverpool” invece, è stato elaborato da Canter e Hodge nel 1997 e, a differenza del modello precedente, basa la stesura del profilo su cinque fattori fondamentali:
Il maggior punto di forza di quest’approccio consiste nell’uso di procedure statistiche e nel costante confronto empirico delle ipotesi, finalizzato allo sviluppo di un modello scientifico di profilo criminale. Inoltre, alle categorie organizzato/disorganizzato dell’approccio dell’FBI spesso tra loro sovrapponibili, Canter e collaboratori propongono la classificazione dicotomica espressivo/strumentale, sulla base delle motivazioni intrinseche che spingono il criminale a compiere l’azione delittuosa.