Ho sentito l’esigenza di scrivere un articolo che parlasse della repulsione per gli psicofarmaci che molte persone in psicoterapia manifestano, con lo scopo di fornire una panoramica assolutamente generica e de-contestualizzata che potesse contenere il livello d’ansia che la frase “forse dovremmo iniziare a pensare a una terapia psico-farmacologica di supporto” scatena in queste persone.
Premessa: io non mi schiero nè a favore nè contro gli psicofarmaci. Se servono vanno usati. Ciò su cui sono sicuramente contraria sono 1) le “auto-medicazioni”, inutile approfondire il perchè; 2) le prescrizioni fatte dal medico di base: capisco che il medico di famiglia lo conoscete e lui “conosce” voi, ma vi fareste prescrivere un farmaco per il cuore o un anti-tumorale da un medico che magari è specializzato in tutt’altro?! Non credo proprio. Ognuno faccia il proprio lavoro! Per cui quando si parla di psicofarmaci, le uniche due figure a cui ha senso rivolgersi sono lo psichiatra (innanzitutto) oppure il neurologo. Fine.
Chiarito questo concetto basilare, passiamo alla spinosa domanda del “quando prenderli?”
Domanda difficile (per questo si va dallo psichiatra!). Ci sono persone che buttano giù psicofarmaci come fossero caramelle e altre invece che ci vedono dentro “satana“. In questo articolo ci occupiamo di questa seconda tipologia di persone.
Iniziamo col dire che “uno psicofarmaco non è per sempre” (a meno che non soffriate di schizofrenia o di un disturbo bipolare, ma è plausibile che se fosse il vostro caso, non stareste neanche leggendo questo articolo!) In media, se accompagnato da un buon percorso psicoterapeutico – e a seconda del problema – un trattamento psicofarmacologico può andare dai 6 mesi a 2 anni. Ovviamente non prendete questo dato come il quarto segreto di Fatima: non è matematica, pertanto non è una scienza esatta. Le variabili sono tante, troppe da poter essere qui considerate in maniera intelligente. Pertanto prendete questo periodo come un riferimento alla larghissima.
Un altro must have che sento è “voglio farcela da solo/a“. Comprensibile e condivisibile, ma… I miglioramenti raggiungibili con un percorso psicoterapeutico possono impiegare settimane o mesi ad arrivare. Aspettare tutto questo tempo non solo può essere controproducente ai fini della terapia stessa, ma rischia di aggravare i sintomi del problema e farvi stare peggio nell’immediato. Di solito, con le persone che sono in terapia con me e che non vogliono assolutamente prendere psicofarmaci – seppur ritengo ne avrebbero un gran bisogno – uso questa metafora:
“Immaginati come un naufrago: la zattera sono le tue risorse, i remi sono la psicoterapia e la forza delle tue braccia la tua motivazione. La riva è il tuo obiettivo, la tua meta. In questo momento il tuo umore e il tuo stato emotivo rendono le acque torbide e più il malessere ristagna nel tempo, più cresce fino a diventare una vera e propria tempesta e così tu vieni trasportato sempre più in mare aperto, lontano dalla riva. Ecco, lo psicofarmaco non fa altro che rasserenare il cielo e calmare le acque. Tu dovrai sempre fare fatica per raggiungere la riva, un mare piatto non trasporterà la zattera al posto tuo! Ma quanto meno non verrai ostacolato ulteriormente nel tuo percorso e potrai osservare chiaramente quanta strada hai fatto“.
Quindi assumere uno psicofarmaco non è un sintomo di “pazzia” ma, quando è necessario è anzi il trattamento più opportuno. Al contrario, comprenderne la necessità è indicativo di intelligenza, consapevolezza e – udite, udite – sanità mentale! Sì, perchè se mi rendo conto che sto male e un professionista mi offre la possibilità di un aiuto farmacologico perchè opportuno e io assumo la terapia così come prescritta, sto agendo per cercare di risolvere un problema. Quindi è ok! Ci siete!
Nel prossimo articolo parleremo delle varie tipologie di farmaci… quindi stay tuned!
Ps. nel frattempo vi lascio il link della Guida degli Interventi dell’OMS.